Una seconda fase si può identificare quando la basilica di Santa Genoveffa sarebbe stata ampliata verso ovest intorno al 550 e chiusa da questo lato da un profondo nartece rettangolare, destinato a pantheon della dinastia merovingia (come dimostra il ritrovamento della tomba della regina Aregonda e i resti della struttura con apparecchio murario regolare a piccoli blocchi). Secondo altri sarebbe stato Dagoberto ad ampliare la cappella nel 630 per ospitare la sua tomba e quella degli altri re merovingi, costruendo una chiesa a pianta basilicale, a tre navate, munita di coro ad est riccamente decorato e concluso da un’abside semicircolare.
La riforma introdotta a metà dal VII secolo dalla regina Bathilde, contribuì a richiamare una folla sempre maggiore di fedeli presso la tomba di San Dionigi, in questo modo il monastero di ingrandì, creando una vera e propria cittadella monastica. Per la sua importanza a Saint-Denis fu educato Pipino III, per volontà del padre Carlo Martello.
Nella terza fase si arriva alla chiesa carolingia, Fulrado amplia la chiesa preesistente la conoscenza nei dettagli dell’organismo carolingio appare difficile per le successive aggiunte, demolizioni ed alterazioni in genere avvenute durante i secoli; quello che gli studi dei vari studiosi e le fonti (in particolare nei Miracula sancti Dyonisii) ci permettono di dire è che la chiesa era articolata in tre navate divise da otto colonne da arcate e poggianti su basi squadrate e scolpite (le cui diverse altezze lasciano supporre che i fusti delle colonne siano stati di altezza variabile, che potevano essere elementi di spoglio provenienti da altri edifici merovingi oppure deliberatamente utilizzati per affermare un senso di continuità storica).
La larghezza complessiva era poco più di venti metri, con la navata centrale larga 10 e le navatelle laterali 5; l’interno della basilica era attraversato al centro da un muro trasversale che divideva la navate centrale dal transetto, questo si sviluppava ad est (trasversalmente all’asse del corpo basilicale, per una lunghezza di circa 28 metri). All’estremità orientale si trovava un’abside semicircolare traforata da una serie di finestre; l’abside sormonta una cripta semianulare con corridoio assiale come quelle romane, solo che qui la fossa “a caput” era sostituita da una piattaforma sulla quale erano posti i sarcofagi di San Dionigi e dei suoi discepoli.
I resti della parte occidentale sono ancora più frammentari, secondo alcuni studiosi essa sarebbe stata costituita da tra ambienti, corrispondenti alla divisione interna delle navate (destinati a luoghi di sepoltura); Carlo Magno avrebbe poi esteso questa parte, costruendo un blocco formato da sei ambienti e sormontati da due torri (che forse vennero ricostruite nell’XI secolo, prima dell’intervento dell’abate Suger).
Nella chiesa carolingia fu realizzato uno dei primi esempi di transetto continuo, inspirato dalle due basiliche paleocristiane di San Pietro e San Paolo fuori le mura; il rimando a questo elemento architettonico era qualcosa di nuovo per la terra franca (abituata a prendere spunto dalle coste meridionali ed orientali del Mediterraneo). Si avverte però un diverso senso spaziale in quanto il veloce movimento orizzontale delle basiliche romane è qui in qualche modo compromesso della presenza di grandiosi volumi a più piani del presbiterio e della facciata (che si presentano adesso come due poli contrapposti). Un’altro elemento contraddistingue Saint-Denis da San Pietro a Roma, ovvero il fatto che nella basilica costantiniana il sistema transetto-coro è orientato ad ovest, mentre a Parigi est, in quanto i costruttori avevano utilizzato l’abside della vecchia struttura merovingia,
Un’ondata di rimandi a Roma dovuta a motivi politici ma anche ideologici, perché andava l’idea di una renovatio imperi sotto l’egemonia del regno carolingio, questa politica era mal vista dalla curia romana, poiché il papato cominciava ad intravedere una autonomia da parte dell’impero, Carlo Magno inizia ad avere un’atteggiamento autonomo, questa doppia condizione si avverte anche nell’architettura come nell’abbazia di Lorsch nella quale appare evidente questo atteggiamento.
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