L'architettura Romanica in Italia


Un preciso carattere che distingue la produzione architettonica dell’età romanica in Italia da quella degli altri paesi dell’Occidente cristiano è il fatto che gusto e linguaggio figurativo sono fortemente differenziati da luogo a luogo, per diversità di tradizioni, per differenti influenze estere, per gli avvenimenti politici ed economici, ed infine per caratteristiche legate al luogo. Nel grande quadro dell’architettura romanica l’Italia assume il ruolo di terra di confine, facilmente aperta ad ogni tipo di influenza, destinata a diventare filtro delle influenze del mediterraneo (bizantine, siriache, anatoliche, armene, islamiche, eccetera), con il compito di trasmettere al resto dell’Occidente dopo averne sperimentato l’applicazione.
Si possono quindi individuare tre aree di influenza: l’area padana, la quale costituisce parte integrante della cultura romanica, mediante costanti rapporti di scambio con la Francia ed il centro Europa; le regioni centrali, rimaste periferiche rispetto agli sviluppi del settentrione (ma con alcune sedi ricche di autonomia e vena creativa); infine il meridione, che devono considerarsi sostanzialmente estranee alla cultura europea.
Nella grande area padana (escludendo Venezia e la laguna) i maestri lombardi avevano da tempo sviluppato e diffuso (nei secoli IX, X e inizio XI) gli elementi caratteristici del linguaggio architettonico romanico; tuttavia intorno alla metà del XI secolo, mentre in Aquitania e Borgogna si portavano a compimento i primi organismi chiesastici voltati, gli architetti lombardi restano ancora fedeli all’impianto basilicale coperto a tetto (forse per timore di realizzare soluzioni sino ad allora mai tentate), questo ritardo si prolunga sino all’ultimo decennio del XI secolo, cosa che non impedisce all’architettura lombarda di affermarsi nel panorama dell’architettura romanica.
Una fase intermedia, prima della costruzione delle volte nella navata maggiore, è rappresentata dall’introduzione degli arconi trasversali posti a sostegno del tetto, quale struttura di collegamento murario fra le pareti verticali, coma accade nella chiesa di San Abbondio a Como, costruita nel 1050-85, priva di transetto, che con le sue cinque navate su archi e colonne sembra ispirato ad un lontano ricordo delle basiliche costantiniane di Roma; influenze francesi si riscontrano nel coro absidato e molto allungato, germaniche nei capitelli cubici e nella loggia interna, riflesso del massiccio occidentale ottoniano. Ma la vera qualità architettonica risiede negli esterni, dove il linguaggio figurativo romanico si dispiega pienamente nelle masse murarie grandiose e compatte.
L’architettura lombarda raggiunge la completezza dell’organismo statico-costruttivo interamente coperto a volta fra il 1090 ed il 1120 ad opera dei maestri milanesi e sono questi ultimi ad introdurre un’elemento di importanza decisiva qual è il costolone squadrato, posto a costituire gli arconi diagonali delle volte a crociera, questo allo scopo di razionalizzare la struttura rialzandone il vertice, differenziando attraverso l’uso dei materiali le funzioni statiche dei costoloni, da quelle di riempimento delle vele.

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